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cuni bassorilievi facevano pensare che le creature avessero attraversato una fase intensamente tec-
nologica su altri pianeti, ma vi avessero rinunciato quando avevano scoperto che si trattava di un
modo di vivere dalle tristi conseguenze psicologiche. L'eccezionale resistenza dei loro organismi e
la semplicità dei relativi bisogni li rendeva particolarmente adatti a mantenere un elevato tenore d'e-
sistenza senza far ricorso a manufatti troppo sofisticati e addirittura a fare a meno di vestiti se non
in rari casi, come protezione contro gli elementi.
Fu nel mare, prima per cibarsene e poi per altri scopi, che crearono la vita sul nostro pianeta: si
servirono delle sostanze a disposizione e impiegarono metodi conosciuti da tempo. Gli esperimenti
più complessi avvennero dopo la distruzione di vari nemici cosmici. Avevano fatto lo stesso su altri
pianeti, fabbricando non solo il cibo che ritenevano necessario ma vere e proprie masse multicellu-
lari protoplasmiche capaci di modellare i propri tessuti in ogni sorta di organi provvisori, il tutto
sotto influsso ipnotico. In questo modo le creature stellate si erano dotate di schiavi ideali per ese-
guire i lavori pesanti necessari alla comunità. Non c'è dubbio che queste masse informi siano ciò
che Abdul Alhazred definisce "shoggoth" nello spaventoso Necronomicon, benché persino quel fol-
le non abbia mai osato immaginare che esistessero davvero, salvo nei sogni drogati di chi masticava
una certa pianta alcaloide. Quando gli Antichi dalla testa a forma di stella ebbero sintetizzato il cibo
elementare di cui avevano bisogno e prodotto una buona quantità di shoggoth, consentirono che de-
terminati gruppi di cellule si evolvessero in altre forme di vita animale e vegetale per servire i loro
oscuri propositi: sterminare qualunque specie la cui presenza diventasse una fonte di preoccupazio-
ne.
Con l'aiuto degli shoggoth, che potevano espandersi fino a trasportare pesi colossali, le piccole e
basse città sottomarine si trasformarono in enormi e imponenti labirinti di pietra non diversi da
quelli che più tardi sarebbero sorti sulla terraferma. Gli Antichi, del resto, erano molto adattabili, in
altre regioni dell'universo avevano vissuto su una terra e conoscevano l'arte della costruzione in su-
perficie. Studiando l'architettura delle antichissime città scolpite sulle pareti, non diverse da quella
di cui stavamo attraversando i corridoi deserti da milioni d'anni, fummo colpiti da un particolare che
non abbiamo ancora tentato di spiegare neppure a noi stessi. La sommità degli edifici, che nella cit-
tà intorno a noi era ridotta a rovine informi da milioni d'anni a causa delle intemperie, era rappre-
sentata con estrema precisione nei bassorilievi: si vedevano masse di guglie aghiformi, delicati or-
namenti ai vertici dei coni e delle piramidi, strati di sottili dischi scanalati che sormontavano gli edi-
fici cilindrici. Era esattamente ciò che avevamo visto nel mostruoso miraggio proiettato dalla città
morta, e che ci era apparso mentre volavamo sulle imperscrutabili montagne della follia avvicinan-
doci all'accampamento del povero Lake; eppure, strutture del genere erano scomparse da migliaia o
decine di migliaia d'anni!
Sulla vita degli Antichi nel mare o sulla terraferma (dove una parte di essi migrò) si potrebbero
scrivere volumi. Quelli rimasti in acque poco profonde avevano continuato a usare gli occhi pedun-
colati alle estremità dei cinque tentacoli maggiori che sporgevano dalla testa. Avevano praticato
l'arte della scultura e della scrittura nel modo consueto: per scrivere si servivano di blocchi di cera
impermeabile e stilo. Quelli che vivevano nelle profondità dell'oceano, pur facendo uso di un miste-
rioso organismo fosforescente che dava luce, ottenevano l'equivalente della vista grazie a speciali
sensi che operavano attraverso le ciglia prismatiche della testa; sensi che in caso d'emergenza pote-
vano funzionare, almeno in parte, anche nell'oscurità. Man mano che gli Antichi s'inabissavano la [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]
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