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nella più antica casa di tutta l Europa collocarla. Alto è il Cielo di sito; il che fu fatto non senza oppor- tuno consiglio della eterna providenza, accioch e si vol- gesse tanto lunge dal globbo della terra, che con la velo- cità del suo moto non la rapisse, sicome il prossimo elemento del fuoco del continovo rotando ne porta se- co. Oltre che ben convenne, per essere conforme alber- go di sì eccelso abitatore com è l Altissimo, allontanarsi totalmente dalle base imperfezzioni di questa palla im- pura. E certo se in tanta altura fu situato quel delizioso Paradiso, che chiamano della terra, piantato solo per di- porto dell uomo, che la piena dell universal diluvio cre- desi non averlo potuto inabbissare: perché quel luogo ch è reggia di Dio, magione degli Angioli e sede della vera felicità non doveva essere sollevato in parte che fus- se da tute le turbolenze de mondani accidenti separato? Lascio che male potuto avrebbe quella patria di beati dalla violenza ed audacia degli uomini assicurarsi, quan- do esposta si fusse molto vicina alla loro ingorda rapa- cità e non più tosto, senza lasciarsi pur dall altrui veduta spiare, ritiratasi al sommo dell Universo. Che se tutto- ché tale fusse il Cielo, quale detto abbiamo essere, pur non si rimase la nsolenza de Giganti di comporre quel- la pazza contestura di monti, con cui pretendeva di sca- lare i nuvoli e muovere assalto alla rocca celestiale: né però mancò l alterigia di Nembrotto d edificare quella superba torre, la cui cornice avanzar si doveva sopra le più eminenti stelle; né gli uni né l altro diffidavano di ve- nire a capo del lor temerario pensiero, se l arroganza di 262 Letteratura italiana Einaudi Giovanbattista Marino - Dicerie sacre quelli non era con l irreparabil forza del fulmine rintuz- zata, e la baldanza di questo alla varia confusione de linguaggi dispersa: che fora stato quando penetrabili e superabili dall umano ardimento fussero state le confini del Cielo? E come potuto avrebbe il Cielo difendersi e ripararsi dall avida cupidigia d Alessandro, il quale di non avere più che un sol mondo conquistato si lagnava? o come nascondersi e chiudersi al sagace ingegno di Co- lombo, il quale per intentati mari un altro nuovo ed in- cognito ne ritrovò, s Iddio a ciò preveduto non avesse con involarlo alla industria de mortali e con farlo in gui- sa a noi inaccessibile, ch altri non potesse, se non solo con l ali di Zoroastro, Intelletto e Volontà, volando per- venirvi? Ma quale altezza maggiore poteva in questo ter- restre Cielo disiderarsi che l essere nella sublimità dell Altezza stessa riposto? Dico in questa Altezza Sere- nissima, sovrano e fin qui ultimo grado della lunga e di- ritta scala della sua stirpe; stirpe dal cui fecondo seno, non altrimenti che dall aureo ramo di Cuma solevano germogliar sempre preziosi virgulti, è sempre rampolla- to certo e continovato ordine d invittissimi Eroi e di glo- riosissimi Prencipi. Ma Prencipe (ragiono solamente di Carlo) in cui, sicome nella doppia faccia di Giano quinci la vecchiezza e quinci la gioventù s accoppiavano, così di nobiltà antica e di virtù moderna quasi un gemino mostro s innesta mirabilmente. Imperoché non conten- to egli di quel bene che dalla Natura ottenuto aveva in dono, ingegnossi dall arte altro nuovo procacciarsene per acquisto, né bastandogli di ricevere lo scettro per te- stamento, s egli nol sosteneva col proprio valore, volse passando dalla corona all elmo, dal trono alla sella, dalla reggia alla tenda e dalla lance alla lancia, a titolo di Pren- cipe, ch è titolo di fortuna, aggiugnere titolo di guerrie- ro, ch è titolo di virtù. Prencipe ch apprese prima a reg- gere se stesso ch a governare altrui ed imparò ad essere non meno delle proprie passioni signore di quel che si 263 Letteratura italiana Einaudi Giovanbattista Marino - Dicerie sacre fusse de soggetti. Prencipe che l affacevolezza con la gravità accompagnò, la giustizia con la clemenza, onde parve in sé avere le due qualità del fuoco congiunte, l ar- sura nel punire, la luce nel premiare. Prencipe che non diede mai castigo per isfogamento di vendetta privata, né porse mai dono per disdegno d utilità particolare, ma l uno esseguì con giudizio incorrotto dall odio, l altro compartì con larghezza incontaminata dall interesse. Prencipe che non si piegò mai a perdono per mandarne impuniti i delitti né concedette mai grazia per moltipli- care gli errori, ma per disporre alla emenda i delinquen- ti e per dare spazio di correzzione agli erranti. Prencipe che né per loda di lingua adulatrice si gonfiò né per in- giuria di sorte nemica s avvilì, ma alla prosperità di quell aure fu legno ben guidato, all avversità di quest onde fu scoglio ben stabilito. Prencipe che non maritò con la prodezza il senno e con la forza il sapere, con quella non si lasciò vincere, con questo non si lasciò ingannare. Prencipe ch essercitò del pari imperiosamen- te la maestà e magnificamente la liberalità, quindi si ren- dette intrepido contro i superbi, quinci splendido verso gl impotenti. Guerriero poi che non dirizzò lo sguardo alla luce dell oro per arricchirne l erario, ma allo splen- dore dell acciaio per armarne la persona: che tra gli agi delle delizie non effeminò la spada, ma tra i rischi delle battaglie fece bellicoso lo scettro: che non ammollì l ani- mo lussureggiando fra gli ozii, né infingardì le membra languendo fra le morbidezze, ma sudando sotto il Sole e gelando sotto le nevi, avvezzosi al peso dell armi ed alle fatiche della vigilia. Guerriero che non pugnò per avi- dità d impero o per ambizione di plauso, ma per difen- dere l onestà delle leggi e per accrescere l auttorità della Croce. Guerriero che mitigando col rigore la grazia e con l attrattiva lo spavento, dimostrossi sempre, quanto amabile all amico tanto al nemico formidabile. Guerrie- ro ch adoperando tra suoi il consiglio in pace e tra gli 264 Letteratura italiana Einaudi Giovanbattista Marino - Dicerie sacre avversari la mano in guerra, spese a danno di questi e a prò di quelli, nonché l oro, i sudori e l sangue. Guerrie- ro che imprese la pugna ne casi dubbiosi più che ne si- curi, né operò magnanimamente per necessità, come co- stretto, ma per elezzione, come forte; né cacciato dalla temenza del maggior male, ma portato alla speranza del maggior bene. Guerriero che non si espose a perigli per minacce di pena, né gli ncontrò per provocamento d in- giuria, ma mosso più dalla ragione che dall ira e confida- to più nella gagliardia del suo braccio che nel soverchia- [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ] |